E tu quante volte pensi all’Impero Romano?
Nell’ultimo periodo forse ce lo siamo chieste spesso (anche troppo? n.d.r.), ma ormai sai come sono fatta, ed ogni scusa è buona per trarre qualche ispirazione interessante per i matrimoni che organizzo.
E quindi questa volta l’ispirazione non poteva che provenire direttamente dall’antica tradizione dell’Impero Romano, dai suoi usi e costumi in fatto di matrimoni, e da ciò che è rimasto fino ai giorni nostri.
Partiamo dal presupposto che nel mondo romano niente conta più di un buon contratto (forse giusto la conquista di una nuova provincia), e quindi anche in fatto di matrimoni il nocciolo importante è proprio la firma del contratto tra due famiglie che si uniscono. Non molto romantico eh?
Dopotutto è conoscenza comune che figli e soprattutto figlie fossero nel mondo romano di proprietà del pater familias e, nel caso delle femmine, una volta sposate divenivano proprietà del nuovo pater familias, ossia il marito.
Nel caso te lo stia chiedendo, una donna dell’Antica Roma raggiungeva la propria libertà e indipendenza solo in caso di vedovanza, ma questa è un’altra storia.
Ma, firma del contratto a parte, come funzionava tutta la storia del matrimonio nell’Impero Romano?
Il matrimonio romano era preceduto dalla cerimonia di fidanzamento, durante la quale era proclamata la “promessa di matrimonio”: una volta scambiati i doni tra i fidanzati, l’uomo regalava l’anello alla sua futura sposa per dichiarare il pieno possesso della donna, la quale garantiva la sua fedeltà.
L’anello veniva infilato, come oggi, all’anulare della mano sinistra perché si credeva che dal dito partisse una vena che arrivasse dritta al cuore che, come per noi, era per i Romani il centro delle emozioni, dell’anima, dell’amore. Infatti la parola stessa “anulare” deriva proprio dalla parola “anulus” ossia “anello”, dove l’anello, dunque, andava indossato.
Dopodiché, a Roma erano diffuse tre forme di matrimonio: confarreatio, coemptio e usus.
La confarrĕātĭo era forse tra le forme più sacre di matrimonio romano, tanto che essere nato da matrimonio confarreatico divenne in epoca classica una caratteristica fondamentale per diventare sacerdote di Giove. Si concretizzava infatti in una cerimonia religiosa compiuta alla presenza del Sacerdote di Giove e di dieci testimoni. Gli sposi spezzavano una focaccia di farro (da cui la cerimonia prendeva il nome) in rappresentanza della loro vita insieme.
Era il matrimonio romano più in uso nell’epoca monarchica e repubblicana e tra i patrizi.
Presto però cadde in disuso, tuttavia è proprio da questa che derivano molte delle nostre usanze matrimoniali, come per esempio l’abito bianco della sposa, o l’usanza di portare il velo (ereditata a sua volta dall’Antica Grecia) anche se il velo era di colore arancione; e poi, ovviamente il banchetto di nozze fatto di musica, tanto buon cibo e fiumi di vino.
La sera del matrimonio la sposa veniva portata alla casa dello sposo dal corteo degli invitati: dopo i vari rituali, due amici la sollevavano e la portavano dentro casa per evitare che inciampasse, cosa che ovviamente sarebbe stato di cattivo auspicio.
La coemptio era invece un vero e proprio atto di compravendita, e lo si deduce dalla parola stessa: deriva infatti da cum emptio, letteralmente “con vendita”.
Si trattava infatti di una sorta di vendita fittizia in cui la sposa passava dalla potestà paterna a quella del marito.
Per quanto questo sia tra i matrimoni più lontani dalla nostra prospettiva, era in effetti quello più in uso e comune in epoca romana, anche perché ai plebei la confarreatio era preclusa.
Inoltre, l’eccessiva formalità della confarreatio portò presto anche i patrizi ad applicare il matrimonio tramite coemptio, e va detto che poi questo tipo di matrimonio (potremmo definirlo civile per tradurlo in termini della nostra epoca), sarà poi quello con la fortuna temporale maggiore: ingloberà infatti il matrimonio delle popolazioni germaniche che in seguito invaderanno l’Impero e, con modifiche diverse, sarà poi quello che arriverà fino a noi traducendosi per l’appunto nel nostro matrimonio civile.
Infine arriviamo all’usus. Che, se vogliamo, potremmo spiegare come la regolarizzazione delle coppie di fatto (quanto erano avanti questi romani per certi versi).
Stabiliva infatti che le coppie che convivevano per almeno un anno ininterrottamente sotto lo stesso tetto erano regolarmente sposate (potremmo dire per usucapione). In questo modo un plebeo e una patrizia, che altrimenti non si sarebbero potuti sposare, potevano regolarizzare la propria unione.
Infine, andrebbe aggiunto, anche se non mi ci soffermerò in questa sede, che dall’epoca imperiale in avanti, furono tantissime le religioni che andarono ad aggiungersi al già ampio pantheon romano, il ché significa che si aggiunsero anche diversi riti di ambito iniziatico che univano le coppie, anche se probabilmente questi riti potevano essere ricondotti ad un ambito più simbolico/spirituale che legale.
Gli usi e le tradizioni del matrimonio romano possono sembrare a volte molto lontani dalla nostra prospettiva contemporanea, ma se volessimo provare a trarne ispirazione per un matrimonio al giorno d’oggi?
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Caterina