Cos’era per Jane Austen il matrimonio? Un lieto fine da romanzo, e non un fine da perseguire ad ogni costo.
Ma è proprio qui che sta la differenza tra la scrittrice e la società Regency.
Oggi ci insegnano che dobbiamo studiare e crearci una carriera, e poi nel frattempo non sarebbe male trovare anche il grande amore, sposarsi e fare un paio di figli (mettendo in pausa quella carriera lungamente sudata e sofferta? Forse, ma per il momento lasciamo stare). Il punto è che la vita di una donna oggi ha molteplici obiettivi, ed accasarsi potrebbe essere giusto uno di questi, ma non necessariamente.
Esattamente come noi oggi pensiamo alla carriera, allo studio, ai nostri obiettivi individuali, in epoca Regency l’obiettivo principale nella vita di una donna era, e doveva essere assolutamente, sposarsi. Dopotutto il matrimonio era l’unica soluzione alla miseria che una vita da nubile avrebbe potuto comportare.
“Le Donne nubili hanno una terribile propensione a essere povere, il ché è un argomento molto forte in favore del Matrimonio”.
Questo pensiero non era condiviso dalla celebre scrittrice che non si sposerà mai e, per quanto sotto falso nome, vivrà della sua carriera (un’ottima ispirazione per Penelope Featherington), ma come spesso accade sono le eccezioni quelle che ci ricordiamo, quelle che fanno lo scalpore giusto per passare alla storia, non certo chi segue le regole.
Tuttavia, per quanto il matrimonio fosse pressoché l’unico modo per una donna di garantirsi benessere e serenità nella vita, Jane Austen in tutti i suoi romanzi ci suggerisce qualcosa di assolutamente fondamentale: sposarsi per amore è possibile, quindi fatelo.
E così il matrimonio è sempre tra i finali più lieti delle sue opere, l’obiettivo che permea i pensieri di ciascuna protagonista in un modo o nell’altro, ma senza mai accontentarsi di un amore di dovere, se non quando la ragionevolezza del personaggio prende il sopravvento sui sentimenti (un po’ come accade a Charlotte, in Orgoglio e Pregiudizio, che comunque fa per sé la scelta che ritiene migliore sposando Mr.Collins).
Ma i matrimoni funzionavano davvero come ce li racconta Jane Austen in epoca Regency?
Sì e no, ovviamente. Sì, perché lo spaccato culturale che ci offre la scrittrice si attiene sempre al verosimile; no perché se fossero così tanto “normali” non sarebbero forse così tanto interessanti.
Prima di tutto ci dovevano essere dei criteri da rispettare per entrare nel gioco dei corteggiamenti: per sposarsi bisognava aver superato i 14 anni per gli uomini e i 12 per le donne, ma se così giovani era necessaria l’autorizzazione genitoriale, e poi tendenzialmente si faceva fare l’ingresso in società alle ragazze non prima dei 16 anni.
Altro criterio era quindi proprio l’ingresso in società: da quel momento il periodo giusto per trovare marito era di al massimo due stagioni, dopodiché la ragazza cominciava a considerarsi un’ormai rassegnata zitella.
Altra regola da rispettare era attendere che le sorelle maggiori fossero maritate: si riteneva infatti di cattivo gusto che una minore si sposasse prima della maggiore, salvo in casi eccezionali e comunque mal commentati dalla società.
Ma in tutto ciò, pur rispettando tutti i canoni di buon gusto dell’epoca, in una società in cui un uomo e una donna non possono ritrovarsi mai da soli prima del matrimonio, come potrebbero mai innamorarsi?
Andando al ballo ovviamente.
I balli, esattamente come ci appaiono in Bridgerton, erano la principale occasione in cui due persone di sesso opposto potevano incontrarsi, parlare, superare i primi imbarazzi e addirittura toccarsi se l’interesse era tale da proporre un invito a danzare. Ma attenzione bene, che gli inviti alla danza fossero al massimo due per medesima dama: una terza danza con la stessa dama sarebbe stata a dir poco sconveniente se prima non vi era stata una dichiarazione ufficiale.
Così come anche scambiarsi doni e, Dio non voglia, farsi sorprendere da soli in una stanza! Altro che i pettegolezzi di lady Whistledown: una cosa del genere avrebbe comportato la vergogna sull’intera famiglia e la miseria della ragazza.
Un altro ottimo modo per conoscersi erano le passeggiate, sempre accompagnati, ma spesso a una tale distanza da permettere addirittura una conversazione privata.
Bastavano questi momenti a far scoppiare l’amore tra i due?
E chi lo sa, forse qualche volta l’amore sarà pur stato vero e sincero. Io voglio crederlo, anche perché dalle narrazioni storiche che ci sono arrivate si riscontra una notevole differenza tra la descrizione dell’amore in epoca Regency, romantica e fiduciosa, e quella dell’epoca vittoriana, più austera e rassegnata a matrimoni di puro e semplice interesse economico.
E venendo all’interesse economico, è indubbio che anche in quest’epoca più solare, fossero sempre i soldi a farla da padrone in ambito matrimoniale.
Spesso i matrimoni erano combinati, e si sceglieva il marito della figlia con l’unico obiettivo di garantire a lei e alla famiglia un benessere economico, un titolo o delle proprietà. E nel momento in cui si ufficializzava il fidanzamento si mettevano per iscritto tutte le condizioni economiche, come la dote, la rendita che il marito doveva garantirle mensilmente, le proprietà, etc…
Lo stesso avveniva anche per la controparte maschile: a quanto ammontava la dote della fidanzata? E quali erano le sue proprietà? E poi spesso la si sceglieva in base al fatto che tramite quel matrimonio anche il rango dello sposo potesse essere innalzato.
Una volta che tutte le questioni erano state affrontate, si poteva pensare al matrimonio vero e proprio.
Quindi dopo questo più o meno lungo corteggiamento, iniziava la fase del fidanzamento che non doveva essere né troppo lungo né troppo breve, perché in entrambi i casi sarebbe stato disdicevole.
C’erano comunque dei tempi tecnici da rispettare: le pubblicazioni di matrimonio dovevano essere declamate per tre domeniche consecutive durante le messe nelle rispettive parrocchie degli sposi, quindi il fidanzamento doveva durare almeno 3 settimane. Se poi non si celebrava il matrimonio le pubblicazioni dovevano essere ripetute. Dopodiché esistevano le licenze speciali che potevano abbreviare questo lasso di tempo.
La prima abbreviava i tempi tecnici di due settimane, e gli sposi erano comunque tenuti a sposarsi in una delle parrocchie cui appartenevano. L’altra invece permetteva addirittura di celebrare il matrimonio in casa, un po’ come fece Mr. Darcy, per cui certo il denaro non era un problema.
E invece la questione della fuga d’amore?
Colin e la Signorina Thomson di Bridgerton e Lydia e Wickham di Orgoglio e Pregiudizio avevano questo in comune: Gretna Green.
Gretna Green era una sorta di Las Vegas in Scozia, dove le coppiette inglesi fuggivano per sposarsi senza dover rispettare necessariamente tutte le formalità della società inglese. Praticamente mettevano le rispettive famiglie davanti al fatto compiuto e nessuno a quel punto vi si poteva opporre senza far sprofondare la famiglia ancora più nel baratro della vergogna.
E poi, nonostante la vergogna, almeno a quel punto la figlia era maritata, e dopo la buriana dei pettegolezzi, sarebbe stato comunque un problema in meno a cui pensare.
I matrimoni al tempo di Jane Austen erano comunque abbastanza intimi, anche se più di quel paio di testimoni di Gretna Green.
Gli abiti erano spesso semplici, il bianco non era ancora stato consolidato alla moda matrimoniale, per quanto le tonalità chiare fossero più adatte al candore virginale della sposa. Ovviamente per i matrimoni più ricchi e importanti, l’abito veniva impreziosito con pizzi, perle e conchiglie o ancora con sopravesti ricamate con metalli preziosi. Quello restava l’abito più bello della sposa, da riutilizzare per le occasioni più importanti.
Portavano il velo, ma non era in realtà così utilizzato né tanto meno obbligatorio: più frequenti erano le acconciature con fiori o fermagli preziosi, o ancora coroncine, gioielli o cappellini. Le scarpe, però, quelle sì che dovevano essere eleganti: di raso con dettagli particolari e tanto più ricchi quante erano le possibilità della famiglia della sposa. Infine il bouquet non era obbligatorio, ma si usava già, così come damigelle e paggetti erano spesso ornati di fiori tra le mani o sui vestiti o ancora tra i capelli.
La cerimonia di nozze poteva essere anche molto affollata: gli sposi si scambiavano le promesse, lo sposo donava un anello nuziale alla sua sposa e poi venivano dichiarati marito e moglie. Dopodiché il banchetto di nozze era decisamente più intimo, con le famiglie e pochi altri (ovviamente anche in base al rango e all’importanza di quel matrimonio).
A questo punto i giochi erano fatti: i due dopo il banchetto partivano per la luna di miele o direttamente per la casa del marito.
Il lieto fine era raggiunto, gli obiettivi realizzati e un nuovo capitolo poteva cominciare, uno che abbiamo letto tra le righe delle pagine di Jane Austen, in cui una madre o un padre si preoccupano per il futuro delle loro figlie e se mai riusciranno a sposarsi e vivere esattamente come loro: per sempre felici e contenti.
Ti piacerebbe un matrimonio ispirato a Bridgerton e a Orgoglio e pregiudizio? Allora corri subito a leggere questo articolo per capire come lo realizzerei!
Ps. Vuoi sapere qual era l’alternativa per un’attempata ventiseienne in epoca Regency? Aver studiato abbastanza da diventare una buona istitutrice o una scrittrice immortale, facile no?
Grazie per aver letto questo articolo,
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Caterina